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Pedro Almodovar

di Boris Sollazzo

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Pedro Almodovar (Olycom)

Pedro da Calzada de Calatrava. Sembra il nome di un pittore, e in fondo cos’è Almodovar (che in quel posto ameno ci è nato il 24 settembre del 1951) se non un raffinato, divertente, malinconico e sexy creatore di affreschi di immagini in movimento, spesso coloratissimi? Che siano i toni vivaci e pacchiani della movida madrilena pre e post-franchista (i suoi primi corti risalgono al ’72), o quelli più caldi e morbidi di Volvèr (2006), splendida cavalcata femminile in cui Penelope Cruz sembra una Sofia Loren moderna, e più brava. Vita al massimo, Pedro non è sempre stato il re che conosciamo, il vate di un cinema spagnolo in crescita da almeno trent’anni, l’alfiere venerato da cortigiani e allievi che, forse, l’hanno anche un po’ rinchiuso nel suo stesso mito. Esistenza non facile la sua, a 9 anni emigrò in Estremadura, andando a studiare da Francescani e Salesiani, esperienza che lo segnò profondamente e in negativo e che lo porterà a sviluppare un’estetica libertina e libertaria, in cui personaggi che appaiono come macchiette assumono tridimensionalità in storie sfortunate, scombinate e spesso surreali. Quell’educazione cattolica lo porterà qualche decennio dopo a un film bellissimo e troppo criticato come La mala educaciòn (2004). Il suo cinema si può forse dividere in tre epoche. La giovinezza selvaggia, che tra il 1980 e il 1986, porterà la gioia sul grande schermo iberico e tra i suoi spettatori con film giocosi, agita(n)ti, vivacissimi come Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio, Labirinto di passioni, L’indiscreto fascino del peccato, Che ho fatto io per meritare questo? e La legge del desiderio. Il sesso e l’omosessualità sono temi che tratta con (auto)ironia e voglia di vivere e raccontare, a cui si aggiungono una curiosità insaziabile e affettuosa verso i marginali e gli emarginati, una critica amara alla religione, un’indagine costante dell’animo femminile. Dopo l’ubriacatura post-dittatura (ricordiamo che aveva come contraltare complementare e ancora più sensuale Bigas Luna) però subentra una vena più malinconica, che si apre con i film della maturità, coincidenti col grande successo. Nel 1985 col fratello Agustìn fonda El Deseo, casa di produzione con cui fa i suoi film e nel futuro scoprirà giovani e talentuosi registi (come alcuni recenti profeti del cinema di genere o Isabelle Coixet), e un gruppo musicale con l’amico McNamara. Nel 1988 arriva il geniale Donne sull’orlo di una crisi di nervi, che apre un decennio di indagine nell’animo più contrastato della donna moderna e delle relazioni sentimentali, tra metamorfosi e fuga dalla tradizione. Il legame col primo periodo è forte, ma c’è un’evoluzione, sia pur discontinua. Arrivano Legami!, Tacchi a spillo, Kika- un corpo in prestito, Carne Tremula, in cui la riflessione sul corpo femminile e il suo “uso” si fa fisico e metaforico. Ed è questo l’anello della catena che ci porta al terzo e attuale atto della sua cinematografia. Il corpo è cambiamento e trasformazione di identità e (pre)giudizi, di vita e di idee, nel capolavoro Tutto su mia madre (1999, Oscar per il miglior film straniero), è ostacolo, immobilità, presenza persino invadente nel suo silenzio in Parla con lei (2001, Oscar per la miglior sceneggiatura), è abuso ne La Mala Educaciòn e viatico per una piccola grande storia familiare in Volvèr. Un cinema più tenero, dolce, un’arte che è invecchiata col suo regista, che ha saputo adattarla a una nuova forma di sé. Forse anche uno smarcamento dall’icona che lui stesso si era creato. Molti si chiedono se Los Abrazos Rotos, ancora una volta con la sua ultima e straordinaria musa Penelope Cruz, sia l’inizio di un Almodovar IV. Si sa, dalle sue parole che “è un noir all’americana anni ’50, con toni da commedia”. Ma è ambientata negli anni ’90. Cannes non ci ha pensato un attimo a selezionarlo, ovviamente.

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